...sono validi in tutto.
Speriamo davvero che la canapa rinasca
Il video sulla canapa è lungo ma credo che valga la pena di vederlo... caldo permettendo:))
La canapa normalmente cresceva rigogliosa e spesso superava i tre metri. A fine luglio, inizio agosto, con una falce particolare, i lunghi steli della canapa venivano tagliati e posati a terra per l'essicazione delle foglie.
In questo periodo il collegio ci dava le vacanze estive. Nel cortile della nonna in estate era una cascata di colori, quelli della terra.. dal pomodoro, ai fagioli, al grano e tante altre cose. All'epoca si raccoglieva e si lavorava anche la canapa. Mi piaceva il rito di questo lavoro finale, tutto esclusivamente femminile. Il cortile veniva pulito bene bene e si faceva spazio alle macennule che erano tutte di legno
con un grosso manico che serviva per la battitura. Le macennule si mettevano in fila con accanto fasci di canapa. Ogni donna si metteva accanto alla sua, tutte si legavano un grosso fazzoletto in testa e quando erano tutte pronte in coro strillavano uno, due e tre via... Il rumore della canapa sbattuta faceva ta, ta, tatata.. in tutte le strade del paese risonava alta la stessa nota..nota, che nei lunghi pomeriggi assollati di luglio la si percepiva come un canto di speranza..(la fame all'epoca era tanta e le donne del mio paese lavoravano come gli uomini). Le donne facevano a gara a chi faceva più fasci. I nonni provvedevano ai nipotini e noi grandicelli non potevamo avvicinarci alle macennule perchè i canucci saltavano in alto e potevano anche colpire gli occhi, ed erano pericolosi. ( i cannucci sono il rivestimento legnoso che avvolge la canapa) Mentre le donne lavoravano cantavano a squarciagola stornelli anche piccanti che all'epoca non capivo. In tutto questo c'erano anche i neonati, ogni tanto si sentiva il pianto di un neonato, che attirava l'attenzione delle donne che smettevano di colpo di lavorare e il ta, ta, tatata di una macennula si fermava.
Ogni mamma riconosceva il pianto del suo bambino e correva lesta verso di lui , la scena che il mio cervello fotografava era bellissima, indimenticabile, una foto che neppure il tempo ha ingiallito.
La mamma correva tutta sudata verso il suo bambino, nel breve tragitto si slegava dalla testa il grande fazzoletto, con il quale si asciugava il sudore, quasi a voler essere pulita per il suo bambino.. Lasciava cadre il fazzoletto intorno al collo e con un bel sorriso apriva le braccia al bambino se lo stringeva al seno e sussurrava "bell e mamma u picciril e mamma ten fam? E mamma ti da a mangià" mentre parlava si sbottonava la camicetta, appariva un grosso seno. Le manine del bambino si aggrappavano a quel seno mentre la boccuccia cercava il capezzolo, la mamma l' aiutava e, finalmente il pianto del bambino si fermava. Con la mano libera la donna accarezzava la fronte del suo bambino. Mani dure, grosse e non curate ma in quel momento diventavano leggere come piume..mani tenere. Dal mio angolo osservavo le piccole labbra del bambino, piccoline piccoline, all'inizio erano voraci, poi il bambino si addormentava e la mamma lo solleticava sforandogli le labbra o accarezzandolo dietro alle orecchie per svegliarlo, il bambino riprendeva a succhiare. Sulle labbra della mamma un dolce e velato sorriso captavo e mentre, con gli occhi scrutava il volto del suo bambino lo accarezzava dolcemente (chi sa cosa pensava in quel momento, avrei voluto essere in quella mente) Ai lati della boccuccia del bambino un rivolo di latte scendeva, ricordo che lo guardavo e pensavo (che strano colore che ha questo latte non è come quello che beviamo noi grandi).La poppata terminava, la mamma dopo aver accarezzato per l'ennesima volta il suo bambino lo affidava alle braccia della nonna
e diceva... fa u brav a mamma che mammà addà faticà... Se ne andava lei e un altro bambino iniziava a piangere, un'altra mamma correva, la scena era sempre la stessa e pensai all'epoca, ma le mamme dicono tutte le stesse parole? Quando diventai mamma mi accorsi che anche io dicevo le stesse cose ai miei figli, li guardavo, li scrutavo memorizzavo ogni piccola piega del loro visino e solo allora capi i pensieri delle mamme del mio paese. Già, ci sono donne intelligenti, preparate, ma il ruolo di mamma, è uguale per tutte le donne.
Il lavoro della canapa durava molti giorni, tutta la giornata non si mangiava...verso le 5 di pomeriggio si smetteva. Ogni donna contava il loro lavoro, si mettevano a posto i fasci di canapa lavorata, pulivano le macennule si radunavano i cannucci, che si conservano nei sacchi, i quali si sarebbero usati d'inverno per accendere il camino, si puliva il cortile. Dopo con cavalletti e tavole si preparava un lungo tavolo sul quale si metteva tutto quello che le nonne avevano cucinato nella giornata, gli uomini scendevano in cantina prendevano il vino e su questo enorme tavolo c'era di tutto e si divideva tutto da buon fratelli, anche chi non portava nulla non era un problema, i grandi sapevano chi poteva e chi no. Si mangiava in allegria fino ad arrivare a cantare e c'era sempre qualcuno che sapeva suonare la fisarmonica. Poi tutti a nanna che la mattina dopo si ricominciava. Io mi alzavo presto e correvo da nonna e li restavo tutta la giornata a gustarmi il meraviglioso teatro della vita. Un teatro senza quinte tutto era allo scoperto non c'erano prove, era vita reale. Sono fiera di aver conosciuto e di essere cresciuta tra gente genuina.L'ultimo giorno di lavoro si faceva una grande festa che durava tutta la notte tra suoni tarantelle e canti e salario da ritirare il cortile scoppiettava di gioia (Se non sbaglio l'ultimo giorno offriva tutto il capo, ma non ne sono sicura)
Speriamo davvero che la canapa rinasca
Il video sulla canapa è lungo ma credo che valga la pena di vederlo... caldo permettendo:))
La canapa normalmente cresceva rigogliosa e spesso superava i tre metri. A fine luglio, inizio agosto, con una falce particolare, i lunghi steli della canapa venivano tagliati e posati a terra per l'essicazione delle foglie.
In questo periodo il collegio ci dava le vacanze estive. Nel cortile della nonna in estate era una cascata di colori, quelli della terra.. dal pomodoro, ai fagioli, al grano e tante altre cose. All'epoca si raccoglieva e si lavorava anche la canapa. Mi piaceva il rito di questo lavoro finale, tutto esclusivamente femminile. Il cortile veniva pulito bene bene e si faceva spazio alle macennule che erano tutte di legno
(Nell'immagine il Museo contadino di San Nicola la strada. La macennula).
con un grosso manico che serviva per la battitura. Le macennule si mettevano in fila con accanto fasci di canapa. Ogni donna si metteva accanto alla sua, tutte si legavano un grosso fazzoletto in testa e quando erano tutte pronte in coro strillavano uno, due e tre via... Il rumore della canapa sbattuta faceva ta, ta, tatata.. in tutte le strade del paese risonava alta la stessa nota..nota, che nei lunghi pomeriggi assollati di luglio la si percepiva come un canto di speranza..(la fame all'epoca era tanta e le donne del mio paese lavoravano come gli uomini). Le donne facevano a gara a chi faceva più fasci. I nonni provvedevano ai nipotini e noi grandicelli non potevamo avvicinarci alle macennule perchè i canucci saltavano in alto e potevano anche colpire gli occhi, ed erano pericolosi. ( i cannucci sono il rivestimento legnoso che avvolge la canapa) Mentre le donne lavoravano cantavano a squarciagola stornelli anche piccanti che all'epoca non capivo. In tutto questo c'erano anche i neonati, ogni tanto si sentiva il pianto di un neonato, che attirava l'attenzione delle donne che smettevano di colpo di lavorare e il ta, ta, tatata di una macennula si fermava.
Ogni mamma riconosceva il pianto del suo bambino e correva lesta verso di lui , la scena che il mio cervello fotografava era bellissima, indimenticabile, una foto che neppure il tempo ha ingiallito.
La mamma correva tutta sudata verso il suo bambino, nel breve tragitto si slegava dalla testa il grande fazzoletto, con il quale si asciugava il sudore, quasi a voler essere pulita per il suo bambino.. Lasciava cadre il fazzoletto intorno al collo e con un bel sorriso apriva le braccia al bambino se lo stringeva al seno e sussurrava "bell e mamma u picciril e mamma ten fam? E mamma ti da a mangià" mentre parlava si sbottonava la camicetta, appariva un grosso seno. Le manine del bambino si aggrappavano a quel seno mentre la boccuccia cercava il capezzolo, la mamma l' aiutava e, finalmente il pianto del bambino si fermava. Con la mano libera la donna accarezzava la fronte del suo bambino. Mani dure, grosse e non curate ma in quel momento diventavano leggere come piume..mani tenere. Dal mio angolo osservavo le piccole labbra del bambino, piccoline piccoline, all'inizio erano voraci, poi il bambino si addormentava e la mamma lo solleticava sforandogli le labbra o accarezzandolo dietro alle orecchie per svegliarlo, il bambino riprendeva a succhiare. Sulle labbra della mamma un dolce e velato sorriso captavo e mentre, con gli occhi scrutava il volto del suo bambino lo accarezzava dolcemente (chi sa cosa pensava in quel momento, avrei voluto essere in quella mente) Ai lati della boccuccia del bambino un rivolo di latte scendeva, ricordo che lo guardavo e pensavo (che strano colore che ha questo latte non è come quello che beviamo noi grandi).La poppata terminava, la mamma dopo aver accarezzato per l'ennesima volta il suo bambino lo affidava alle braccia della nonna
e diceva... fa u brav a mamma che mammà addà faticà... Se ne andava lei e un altro bambino iniziava a piangere, un'altra mamma correva, la scena era sempre la stessa e pensai all'epoca, ma le mamme dicono tutte le stesse parole? Quando diventai mamma mi accorsi che anche io dicevo le stesse cose ai miei figli, li guardavo, li scrutavo memorizzavo ogni piccola piega del loro visino e solo allora capi i pensieri delle mamme del mio paese. Già, ci sono donne intelligenti, preparate, ma il ruolo di mamma, è uguale per tutte le donne.
Il lavoro della canapa durava molti giorni, tutta la giornata non si mangiava...verso le 5 di pomeriggio si smetteva. Ogni donna contava il loro lavoro, si mettevano a posto i fasci di canapa lavorata, pulivano le macennule si radunavano i cannucci, che si conservano nei sacchi, i quali si sarebbero usati d'inverno per accendere il camino, si puliva il cortile. Dopo con cavalletti e tavole si preparava un lungo tavolo sul quale si metteva tutto quello che le nonne avevano cucinato nella giornata, gli uomini scendevano in cantina prendevano il vino e su questo enorme tavolo c'era di tutto e si divideva tutto da buon fratelli, anche chi non portava nulla non era un problema, i grandi sapevano chi poteva e chi no. Si mangiava in allegria fino ad arrivare a cantare e c'era sempre qualcuno che sapeva suonare la fisarmonica. Poi tutti a nanna che la mattina dopo si ricominciava. Io mi alzavo presto e correvo da nonna e li restavo tutta la giornata a gustarmi il meraviglioso teatro della vita. Un teatro senza quinte tutto era allo scoperto non c'erano prove, era vita reale. Sono fiera di aver conosciuto e di essere cresciuta tra gente genuina.L'ultimo giorno di lavoro si faceva una grande festa che durava tutta la notte tra suoni tarantelle e canti e salario da ritirare il cortile scoppiettava di gioia (Se non sbaglio l'ultimo giorno offriva tutto il capo, ma non ne sono sicura)
Il Museo che si vede in queste immagini e l'ex refettorio del collegio dove ho vissuto dai quattro ai quindici anni. ( nella foto di sinistra si vede un angolo di tavolo, quello del refettorio,ad ogni tavolo 10 ragazze due a capotavola e 4 ai lati d'inverno il marmo era freddissimo. Quella a destra dalla finestra s'intravede il parco dove giocavamo. Proprio accanto a questa finestra la sottoscritta ha mangiato in ginocchio per un intero mese a colazione a pranzo e a cena. Scontai un mese di castigo ma ne valeva la pena. La causa era giusta. Le ragazze facevano a gara a portarmi il mangiare sapevano che stavo scontando una colpa non mia, mi sentivo un eroina. Le suore sapevano che non avrei mai parlato e cosi per dispetto mi diedero un mese intero di castigo fui la sola in assoluto che io mi ricordi ad avere avuto un castigo cosi duro e lungo. Ma oggi è un bel ricordo. Col tempo tutto si ridimensiona.
Rosa' tu si' 'na fata!
RispondiEliminaChe meraviglia di post!
Andrebe pubblicato in tutti i giornali d'Italia e conservato a lungo nella mente.
Un abbraccione doppio,
aldo
Cara Rosa, l'ho letto attentamente, con calma e soffermandomi... appena lo hai postato, ed ora, finite le faccende, eccomi a te.
RispondiEliminaQuesto post è una poesia in prosa... uno spaccato dei lavori rurali degli anni cinquanta... una pagina di storia... una testimonianza da custodire.
E' stupendo!!!
Sei davvero molto brava!!!
Mi piace la tenerezza e il senso del dovere che trasuda da queste righe e che commuove.
Complimenti!!!
Non posso votarti perchè da te non c'è il bottoncino, ma se potessi ti voterei più volte.
Grazie per il link... utilissimo e chiaro.
Vado a ringraziare Annarita per l'articolo.
Oggi ho imparato molte cose
Grazie
Un bacio con lo schiocco
Rosellina, questo post è bellissimo, perchè dentro c'è tutto, romanticismo, storia, arte, cultura
RispondiElimina:-) Me lo farò stampare (la mia stampante è rotta):-( Un bacio ed un ricordo per il tuo amato cuginetto .
Alduccio, per la fata mi sta anche bene...
RispondiEliminama vedere il mio post sui giornali d'Italia, questo è troppo.
Un bacione doppio
ciao che caldo.
Zicin, questi ricordi che conservo fin da bambina, sono la letizia del mio cuore.
RispondiEliminaOnore alle Donne del passato.
Grazie.
bacione
Riri, un grazie di cuore.
RispondiEliminaHo raccolto con gioia il tuo pensiero per il mio amato cuginetto.
bacione a te
Cara Rosy, grazie per gli auguri e per i bellissimi fiori.
RispondiEliminaOggi tengo o cor ind o zuccher
anche perchè domani vado da mia figlia.
Cosa voglio di più???
Un bacio ed un sorriso
zicin,son contenta che Oggi tien o cor ind o zuccher e ci credo tra l'anniversario di matrimonio e la partenza di domani...zucchero in giro non c'è ne più
RispondiEliminaTe pigliat tutt tu!
Evvaii!!
Buon di tutto e buon viaggio!
Questo post è un affresco meraviglioso di una cultura e una civiltà contadine ormai scomparse.
RispondiEliminaSei fortunata ad aver vissuto un'esperienza così pregnante e formativa, sicuramente impossbile da dimenticare e che rimane una componente fondamentale per quanti come te ne hanno fatto parte.
Brava, rosaria. Hai saputo renderne l'atmosfera in modo toccante e vitale. Grazie per aver condiviso con noi un ricordo così bello. Grazie per le foto che ci mostrano dove sei nata e dove hai vissuto la tua infanzia e la tua adolescenza sino alla primissima giovinezza. Grazie per averci fatto conoscere Michele attraverso i tuoi ricordi.
Un pensiero al tuo amato cugino e un abbraccio grande a te.
annarita
Annarita, grazie.
RispondiEliminaI ricordi nel ricordarli mi danno la certezza di aver vissuto.
Sembra strano ma è cosi
Aver memoria del passato e un modo di confermare al presente quello che siamo ora.
Grazie per il tuo pensiero per Michele
Ricambio il tuo abbraccio con tanto affetto. Ciao.