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martedì 29 giugno 2010

UNA REGINA DIMENTICATA




Dedicato all'ultima Regina delle Due Sicilie, Maria Sofia Amalia Von Wittelsb...

Come sempre il Nostro Gaetano ha saputo offrirci 
una pagina di poesia,  con la quale chiudere  con delicatezza , 
almeno, in questo piccolo spazio, 
 una pagina assai dolorosa per il  sud.

Due Sicilie
UNA REGINA DIMENTICATA 
ARETO A ‘NU SPECCHIO

di GAETANO BARBELLA
Veggenza. Disegno dell’autore tratto dalla mappa di Caserta.


«Ce steve 'na vota 'nu viecchie,
e 'na vecchia areto a 'nu specchio,
areto a 'nu monte...
Una vecchia filastrocca napoletana

Era il tempo di fine guerra ed abitavo con la famiglia a Puccianiello, un paese della periferia a nord di Caserta, proprio in prossimità del limite del parco della nota Reggia di questa città. Qui il parco è particolarmente avvincente, quasi fuori dal tempo, perché vi è dislocato il famoso «Giardino Inglese» pieno di piante esotiche e più a monte, dal punto dove poi viene giù una caratteristica cascata, si estende sul retro il cosiddetto bosco di San Silvestro. Chi si addentra in questi luoghi è come se fosse trasportato in un mondo surreale legato al mito, a meravigliose favole. Un fantastico mondo in cui strani esseri pare che si sentano girare qua e là.
Ecco una certa surrealtà che attraverso questo scritto mi preme far profilare per presentare dei risvolti personali, forse attinenti, che credo abbiano influito considerevolmente sul decorso della mia vita.

Caserta. Giardino Inglese del parco della Reggia. Fontana del PastorelloA quel tempo ero meno che un ragazzino ed insieme a tre fratelli, più piccoli di me, ci piaceva ascoltare le storielle, di maghi, di fate e di orchi, che raccontava con dolcezza 'a zi' Maria, un’anziana persona paralitica che, insieme alla sorella, donna Felicetta e suo marito, don Rafel', anziani anche loro, erano i proprietari della casa in cui si viveva.
Di quelle favole mi è rimasto impresso nella mente una curiosa filastrocca, detta in napoletano, che spesso le precedeva. Chissà perché, mi sono chiesto in seguito da grande, ogni volta che mi ritornava in mente. Ma era talmente radicata in me da provare gusto nel ripeterla mentalmente, ma a volte anche a bassa voce. Perché?
Forse doveva costituire, per mano del fato, un’amorevole azione protettiva o qualcosa del genere. Forse anche perché potessi ora raccontare, a chi potesse recepirla, la filastrocca in questione per trarre illuminazioni mentali. Quasi che fosse il famoso bacio del principe per disincantare la bella principessa addormentata ed il suo reame della nota favola. Viene da sorridere?
Eppure quanti “reami” sepolti nella mente, ad un tratto, riemergono per semplici ed inspiegabili stimoli. Dunque sentite la filastrocca napoletana:


«Ce steve 'na vota 'nu viecchie,
e 'na vecchia areto a 'nu specchio,
areto a 'nu monte...
Statte zitte che mò tu conte.
E tu conte dint' 'a tiana,
mammeta e patete i ruffiani».

Tradotta fa così:
«C'era una volta un vecchio,
 / ed una vecchia dietro uno specchio,
 / dietro un monte... / 
Stai zitto che or te lo racconto.
 / E te lo dico dentro un tegame, 
/ mamma e papà i ruffiani».

Come sembra ravvisarvi, c'è l’essenziale del minimo della vita se non di più, che io intravedo nel modo seguente. Il passato, che è anche punto di termine della vita in quei due «viecchi» quando facciamo riflessioni davanti allo specchio, vuol indicare al limite la nostra coscienza, ma è anche la normale attività di pensiero. Il presente è il superamento del monte delle asperità della vita riconducibile anche alla prospettiva del mistero riposto nella fine di ogni cosa, la morte. Nel presente l’emblema dei due «ruffiani» in noi che sono sempre i due «viecchi», ci aiuta a svincolarci dalla superbia causa dello svanire dell'amore per dar luogo ad un incerto e periglioso «fai da te» che si ravvisa nella raccomandazione di «statte zitte», ossia rifletti prima di svincolarti dai due in questione, ovvero prima di costituirti artefice di te stesso, se non vuoi sperimentare la mortale solitudine del vuoto dell'anima.
E poi si tocca terra raccomandabile con la «tiana», col vaso delle cose che sembrano amabili, ma anche delle cattive sorprese frammischiate sapientemente (se si sta “zitti”, però). Può servire il “digiuno” per evitare l’amarezza che potrebbe trapelarsi in questa o quella ciotola del nutrimento, che, gira e rigira, non è possibile evitare? O forse altre «tiane», più in là, ci sembrano migliori come amori che riteniamo ci spettino, risolvano ogni cosa non più gradevole dei vecchi orcioli? Ma se ciò fosse, come sembra che avvenga oggi, non restano che lo specchio ed il monte, come voler dire attenzione a non corrompere anche questi “due”, della casa della nostra memoria, dalle apparenze poco o nulla incisive, ma che costituiscono le sostanziali “radici” delle nostre origini divine.
‘A tiana dei racconti di zi’ Maria Dunque

 «'A tiana» dei racconti di «zi' Maria»

sembra che alluda al nostro cranio in cui è alloggiato il cervello, sede appunto della memoria. «'A tiana», intesa come emblema, ci potrebbe ricondurre al Sacro Calice del sangue di Cristo e poi al mitico Graal dei cavalieri del Medio Evo, considerando che questo termine dialettale, «tiana», è relativo ad un tegame molto somigliante con un altro a forma di bacile in uso nel Medio Evo.
Dai primi racconti sul Graal questo calice in principio era – ed è ancor oggi, in parecchi dialetti tra la Catalogna e le Fiandre – un bacile largo e basso, di materiale prezioso e pregevole fattura, destinato a piatti di pesce e al loro elaborato intingolo, detto anche «gradalis» o «gradale», «caro e gradito a chi vi mangia». Il resto della storia a ritroso su questa incerta coppa senza tanta apparente nobiltà, ci viene così tramandato dal passato, ma anche tutt’ora sono in molti a cesellarla con contorni persino fantasiosi.
Che dire del Graal? Meglio: cosa conta come emblema, al di là delle fantastiche concezioni ingigantite oggi dai media della carta stampata e dai cineasti? L'opinione che raccolgo dai diversi scrittori a riguardo si impernia sullo slancio umano alla ricerca della verità su se stessi e sugli altri; il simbolo del dono di sé, dell’imitazione di Cristo nell’Incarnazione e nella Passione, della Creazione stessa intesa come dono; perché il Graal è la figura medievale dell’eterno mito di Ulisse, archetipo dei moderni ideali di pace tra tutti i popoli, nel progresso e nella libertà. Insomma tutte egregie memorie da ricordare e non oltraggiare con un vivere da sconsiderati.

Quando la storia ci sfiora:
un piatto per un imperatore

Ho raccontato della “Tiana di zi’ Maria”, vaghi ricordi di quand’ero ragazzino a Caserta. Ora me sovviene un altro, ancora di un piatto, ma vero e non fiabesco e anche piuttosto importante per i suoi risvolti storici.
Ero tredicenne e con la famiglia ci si era trasferiti tre anni prima, il 1948, a Trento. Io e  la mia famiglia ci ambientammo presto, nonostante il cambiamento, e non mi fu tanto difficile avere buoni amici trentini.
Trento mi piaceva, ma la permanenza in questa città durò poco, perché l’anno successivo si rientrò a Caserta. Mio padre, che era disegnatore del Catasto, ottenne il trasferimento nella città in cui era nato e vissuto.
Ricordo molto bene la via dove abitavo, si chiamava Via Brigata Acqui, posta in prossimità di Piazza Venezia, non tanto distante dal Castello del Buon Consiglio.
Ma ecco la storia del piatto.
Accanto alla mia abitazione, c’era lo studio di un valente scultore di opere in legno. Ed io che avevo molta disposizione per questo genere d’arte ero spesso in questo laboratorio, il cui titolare mi prese a benvolere insegnandomi la sua arte. Di lui non ricordo più il nome, ma ho impresso nella memoria ancora oggi un lavoro che stava facendo con molta cura, un piatto tutto intarsiato. Mi attraeva il procedimento che seguiva l’artista nel ricavare dal grezzo quel piatto, ma era anche così per le altre opere che lui eseguiva.
Però questa scultura era speciale perché fu commissionata per essere destinata come regalo simbolico, nientemeno che per il matrimonio dell’Imperatore Austriaco e Re d’Ungheria, ovviamente non regnante, ma in carica a tutti gli effetti.
Si era nel 1951 e l’imperatore appena menzionato è Franz Josef Otto Robert Maria Anton Karl Max Heinrich Sixtus Xaver Felix Renatus Ludwig Gaetan Pius Ignatius von Habsburg-Lothringen, noto semplicemente come Otto d’Asburgo... e con un bel respiro per riprendere fiato.
Il piatto, a scultura finita, aveva delle belle incisioni allegoriche sul fondo, completate sul bordo con i nomi delle tre città del Trentino e Alto Adige, scritti in tedesco:  Ala, Trient und Bozen. La pregevole scultura venne poi colmata con la terra di questi tre luoghi e, come già accennato, venne offerta a Otto D’Asburgo che convolava a nozze con  Nancy la Principessa Regina di Sassonia-Meiningen.
Chi erano i committenti di questo significativo regalo, non so dirlo con precisione, la questione relativa allora non sfiorò il ragazzino in me. Ma non è difficile intuirlo sapendo che ci sono nel Trentino e Alto Adige non poche persone affezionate ad un passato rimasto impresso in loro, allorché gli avi di Otto D’Asburgo facevano la storia in Europa.
Adesso ne parlo con dovizia di particolari a me noti, ma allora questo episodio passò quasi inosservato persino in seno alla mia famiglia che sapeva della mia frequentazione assidua del laboratorio di scultura dove fu realizzato il misterioso piatto. Ma ero io a non aver mai detto del fatto ai miei, chissà perché.
Ma oggi, sì proprio oggi, per strane e inspiegabili trame del destino: giusto in relazione all’aver conosciuto casualmente l’amico, Schützen Heil, Enzo Cestari, attraverso il suo sito Die Schützenwelt. Colgo l’occasione ringraziandolo per aver ospitato nel sito due miei scritti che riguardano il patriota Andreas Hofer e l’Imperatore Massimiliano I in relazione al famoso artista di Norimberga, Albrecht Dürer. Si tratta di memorie da ricordare, come quella di ieri, 19 aprile 2009, a Sant Romedio per Andreas Hofer. Forse è da qui che si è innescato un ignoto travaso di forze che mi hanno indotto a scrivere questo breve saggio.
Il titolo di questo scritto allude alla memoria del nostro passato, della nostra terra natale, una certa “Regina”, e per questo scopo mi sono valso della filastrocca napoletana. Ma l’approfondimento del disegno allegorico presentato all’inizio, che mi era sembrato ben chiaro con l’interpretazione relativa in relazione alla filastrocca, invece ha mostrato qualcosa di più. Nulla di accertato sulla valenza scientifica del suddetto mio disegno, ma resta pur sempre un filo conduttore tra il fisico e metafisico, l’unico capace di sondare i meandri dell’animo umano ove soggiornano memorie vitali perché sopravvivano.


La regina delle due Sicilie, Maria Sofia di Borbone.
Maria Sofia di Borbone
la regina che non si arrese mai
Del mio disegno allegorico di copertina risulta comprensibile la rappresentazione del tegame a mo’ di insalatiera posta a rovescio sotto il poggio sul quale siedono, uno compenetrato all’altro, il giovinetto (l’apprendista) e l’anziano che dà l’idea di un mago. Ma è anche l’uomo che fa riflessioni sulla sua vita trascorsa. Più da vicino il tegame cela una rappresentazione geometrica (un ellisse con un triangolo) con accanto una sorta di occhio. Si tratta di allusioni a miei studi matematici per i quali ho nutrito nel tempo grande interesse e che mi hanno permesso di portare a termine un libro pubblicato di recente in formato E-book, "I Due Leoni cibernetici".
L’occhio si riferisce a quello egizio di Ra poiché la geometria si rifà alla stessa che tutti gli studiosi di egittologia hanno presunto sul conto della piramide di Cheope. Lo stesso occhio è posto giusto in corrispondenza della mia casa paterna che affaccia proprio di fronte al palazzo della Reggia vanvitelliana a mo’ di scanno dei due assorti nella meditazione.

Resta però poco chiaro ciò che si può celare dietro il bel volto della giovane donna tanto mesta e triste. Ma oggi, come sopra detto, è un giorno particolare poiché mi è sorta nella mente la possibile spiegazione. Naturalmente sono cose da racconti fantastici che solo ai bambini sembrano veri. Ma chi,li fa sopravvivere in età avanzata, sente in sé che è possibile. Al limite, se non altro, il lato positivo è che serve a far riaffiorare antiche memorie degne di essere ravvivate, allo stesso modo com’è per esempio con Andreas Hofer tutti gli anni il 20 febbraio.
Certo non si può negare l’attaccamento speciale che mostrò l’eroica regina delle Due Sicilie, Maria Sofia di Borbone, che fece di tutto per salvare il suo regno.
«Femme hèroique qui, reine soldat, avait fait elle meme son coup de feu sur les remparts de Gaete.»


Così Marcel Proust ne La prisonnière, canta della regina soldato, la diciannovenne Maria Sofia di Borbone, che sugli spalti di Gaeta non esitò a sostituire un artigliere ferito a morte, continuando il fuoco contro gli assedianti piemontesi. Il mito dell’eroina di Gaeta non è stato mai offuscato dal passare del tempo, anche se i testi di storia hanno ignorato o addirittura vituperato la figura, la personalità e il comportamento eroico dell’ultima regina delle Due Sicilie. Gabriele D’Annunzio definì Maria Sofia “l’aquiletta bavara che rampogna”, intendendo con queste parole disprezzare la regina che si oppose con tutto il suo coraggio all’usurpazione sabauda del Regno delle Due Sicilie. Maria Sofia, infatti, tentò di riconquistare sino all’ultimo della sua vita quella patria meridionale che lei, tedesca di nascita, aveva fatto sua e profondamente amata.1
Maria Sofia (chiamata affettuosamente “Spatz”, cioè passerotto), nacque nel 1841 a Possenhofen (Baviera) da Massimo, duca di Baviera, e da Ludovica di Wittelsbach. Era la quinta di nove figli. Tra le sue sorelle la più nota sarà Elisabetta (“Sissi”), Sissi che si sposò nel 1854 con il ventiquattrenne Francesco Giuseppe, Imperatore d’Austria. Maria Sofia trascorse la giovinezza in Baviera; dal padre aveva ereditato l’amore per la natura, per la caccia, per i cavalli, i cani e i pappagalli. Era di carattere aperto, pronta a familiarizzare con le persone più umili, indipendente e anticonformista amava l'equitazione, il tabacco, la fotografia.
Nel 1858, a 17 anni, fu promessa a Francesco di Borbone, duca di Calabria ed erede al trono delle Due Sicilie. Il matrimonio doveva rafforzare i legami con l’impero austriaco. Maria Sofia non conosceva Francesco di persona, aveva avuto solo l’opportunità di vederlo raffigurato in una sua miniatura nella quale appariva d’aspetto gradevole.
Dopo la cerimonia di fidanzamento, avvenuta il 22 dicembre 1858, venne celebrato il matrimonio per procura la sera dell’8 gennaio 1859. Dopo qualche giorno, accompagnata dalla sorella imperatrice, si recò a Trieste, dove l’attendevano i rappresentanti della Casa Reale delle Due Sicilie con le fregate Tancredi e Fulminante, su cui il 1° febbraio s’imbarcò per Bari. Nella città, in cui erano stati preparati grandiosi festeggiamenti, l’attendevano Ferdinando II, ammalato e sofferente, e il suo sposo. La partenza per Napoli avvenne per mare il 7 marzo, mentre le condizioni del Sovrano si aggravavano sempre più. Lei era molto bella, il corpo alto e snello, gli occhi ridenti, i lunghi capelli neri, l’espressione dolce. Il suo anticonformismo contrastava con il clima tradizionalista della corte borbonica.
Ma la sua bellezza e la sua personalità conquistarono il popolo meridionale e Francesco, soggiogato dal suo fascino, le lasciava ampia libertà. Maria Sofia sconvolgeva le abitudini della corte: fumava, andava a cavallo, tirava di scherma, si faceva fotografare, si bagnava nelle acque del porto militare, portava i suoi cani in sala da pranzo. Era al centro delle cronache mondane, mentre in Italia il clima politico si faceva più difficile: il 27 aprile 1859 il granduca di toscana Leopoldo lI, zio di Francesco II, era stato costretto ad allontanarsi da Firenze a causa dei moti fomentati dai Savoia.2
Da qui in poi è penoso fare la cronaca delle vicende del bel Regno di Maria Sofia. Tutto scendeva per una china come preordinata nel tempo, come sembra segnata sulla carta di Caserta ed in particolare della località a me familiare, la Puccianiello dei “racconti di zi’ Maria”. Tuttavia è proprio nel clima della sventurata sorte del Regno delle due Sicilia che Maria Sofia si è dimostrata agli occhi dell’Europa intera “la regina che non si arrese mai”.
Durante la prima guerra mondiale trascorse gli ultimi mesi di guerra nei campi di prigionia italiani, facendo assistenza ai “suoi” sudditi, che ignoravano chi fosse quella vecchia signora. Trascorse, solitaria, i suoi ultimi anni a Monaco, dove si spense nella notte del 18 gennaio del 1925.
Dal 18 maggio 1984 Francesco II, Maria Sofia e la loro figlia Maria Cristina riposano nella Chiesa di Santa Chiara in Napoli.
E la bella e misteriosa “Regina areto a ‘nu specchio” del mio disegno? La vedo come un busto marmoreo, un degno emblema posto in onore su una tomba speciale. Sotto di lei si vede sul disegno un riquadro bianco con tante crocette: è il cimitero di Caserta e qui riposano i miei cari genitori, i miei nonni, parenti e amici ora non più. È QUESTA LA MIA MEMORIA che nessuno mai cancellerà
Brescia, 20 aprile 2009
http://www.eleaml.org/nicola/collaboraz/gb_a_tiana.html


Non sapevo che dedicarmi ai monumenti mi sarei anche imbattuta nella storia dell'umanità, era inevitabile, solo ora lo so! Cosi ogni tanto leggo e scrivo pagine di storia umana.Anche se so  che a molti non interesseranno, ma a me si. Conoscere la storia ci da la possibilità di capire quell'attuale.
Ai giovani italiani del sud, del centro e del nord ripeto la filastrocca di Gaetano...
«Ce steve 'na vota 'nu viecchie,
e 'na vecchia areto a 'nu specchio,
areto a 'nu monte...
Statte zitte che mò tu conte.

18 commenti:

  1. Caro Gaetano,
    questa filastrocca, la ricordo anche io
    All'inizio di ogni racconto i nostri nonni iniziavano cosi...

    «Ce steve 'na vota 'nu viecchie,
    e 'na vecchia areto a 'nu specchio,
    areto a 'nu monte...
    Statte zitte che mò tu conte.
    E tu conte dint' 'a tiana,
    mammeta e patete i ruffiani».

    La versione che hai dato a questa filastrocca, io non ci avevo mai pensato, però, avevo creduto che era una specie di pubblicità antica, che dava il tempo ai bambini ritardatari o a quelli che parlavano di stare zitti o di affrettarsi che tra poco iniziava u cunt...il racconto.
    Però certe volte non raccontavano nulla e si ripeteva all'infinito

    «Ce steve 'na vota 'nu viecchie,
    e 'na vecchia areto a 'nu specchio,
    areto a 'nu monte...
    Statte zitte che mò tu conte.
    E tu conte dint' 'a tiana,
    mammeta e patete i ruffiani».
    Fino a che ci si addormentava per la noia, ma quello che ricordo era il timbro di voce dolce, calmo e ripetitivo.

    Grazie Gaetà
    ciao e buona serata.

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  2. Grazie per averci fatto conoscere così delicatamente un pezzo di storia molto intressante che non conoscevo.

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  3. molto interessante questa pagina di storia.La filastrocca mi ha richiamato alla mente una che sentivo da bambina e che mi innervosiva perchè non raccontava niente."c'era una volta un re,seduto sul sofà,diceva alla sua serva raccontami una storia.la storia cominciò.c'èra una volta un re seduto....."ciao graziella

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  4. Grazie a tutti per l'attenzione e l'apprezzamento del mio scritto.
    Sì, le filastrocche si somigliano un po' tutte e sono come le nenie per i bambini e farli così addormentare. E sono, più in profondità riflessi dei fatti della vita che per molti non sono felici, sono molto spesso guai che si ripetono che, a forza di ripetersi assopiscono la mente. E così ci si adatta al cattivo gioco abituandoci a conviverci e agire in modo medicamentoso all'anima e allo spirito, chissà, bisognoso di cure che non sappiamo e solo il mistero potrebbe spiegarlo. Nel cristianesimo si parla ripetutamente del peccato originale, ma è bene anche che l'uomo si desti e cerchi a modo suo una possibile spiegazione diventando arbitro di sé stesso fra successi e insuccessi. Sempre chi lo può...
    Ciao a tutti,
    Gaetano

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  5. Buon giorno cara Rosy lo sai che dopo aver letto i tuoi post sembra che la storia non sia così tanto lontana...
    Molto interessanti i tuoi racconti.
    Un cara abbraccio forte,
    Tomaso

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  6. Bellissima la filastrocca (non so resistere alle filastrocche!!)
    Questapoi ha un dolce sapore di ninna nanna...
    Un pezzo di storia che non conoscevo, grazie per averla divulgata.

    Un bacione Rosalba

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  7. Leggere un pò di storia fa sempre bene: è arricchimento culturale anche questo, pur se postato su un blog.
    Grazie per l'impegno che sempre dedichi a questo spazio.
    Cari saluti

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  8. Cara Graziella, la tua filastrocca, anche io la conosco, imparata in collegio dalle suore.
    Grazie A presto.

    Rosalba cara, questa filastrocca era una ninna nanna vera e propria, si stava li sempre in'attesa di ascoltare un racconto, che non veniva mai e intanto ci si addormentava al suo cadenzare dolce, come hai fatto notare tu.
    Un abbraccione.

    cara angioletto, la storia si può e si deve divulgare, specie se si divulga senza rancore,e ogni posto e buono.
    Certamente, il popolo non ha colpa di nulla se colpa c'è è quello di non voler sapere neanche dopo come stanno realmente le cose.Camminando tra i musei e monumenti vari, mi son trovata come ho detto nel post a scoprire anche la storia dell'umanità e cosi mi viene naturale, postare l'una e l'altra.
    A presto.

    Caro Tom, leggendo la storia di oggi sembra che gli anni non sono passati e hai ragione. Dicevano i nostri vecchi...cambiano i musicanti ma la musica è sempre la stessa. Gli uomini sono cambiati solo all'apparenza, ma l'animalità, l'egoismo, la sete di possesso sono sentimenti solo coperti da un leggero velo che noi chiamiamo civiltà, ma questo velo e cosi sottile che alla prima occasione vola via e viene fuori quello che l'essere umano tenta di nascondere di soffocare.
    Un abbraccio a presto.

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  9. Carissima Rosy ho letto attentamente il post e ho trovato molto interessante l'interpretazione data da Gaetano della filastrocca .
    Ti apprezzo per questa sete di sapere che è in te e sono d'accordo quando affermi che la storia bisogna conoscerla per capire meglio il presente ; e poi è così formativa !!!Continua così perchè a te interessano questi argomenti e, di tanto in tanto, non mancherà occasione per dare a qualche tua pagina un tono di leggerezza con le tue bellissime descrizioni di vita quotidiana così autoironiche e simpaticissime.
    Un abbraccio e a presto

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  10. Cara Paola,hai detto bene, la mia voglia di sapere, di conoscere e di capire, mi fa toccare tutti i "tasti" che incontro in questo vasto mondo di Internet.
    Certamente ogni tanto scriverò un qualcosa di leggero, anche perchè da sola viene fuori la mia ironia e se non le do voce si incazza con me
    La vita, mi piace, adoro ogni cosa di lei, il buono è la mia passione, il cattivo mi intriga, per la sua complessità. Il buono è cosi semplice che quasi quasi passa inosservato e nel cattivo che si gioca la vera partita a scacchi della vita.
    Purtroppo è cosi, amaramente, ma è cosi.
    Dal mio piccolo angolo mi piace osservare il genere umano,mi è sempre piaciuto, ma a furia di osservare gli altri, finisce che non osservo me e chi sa chi mi osserva cosa mai penserà di me?

    Un caro abbraccio son contenta di tutto
    Questa sera risponderò alla tua mail
    Ciao

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  11. Ciao Rosy, ho iniziato a leggere, ma forse è ora che mi corichi, non riesco a finire...tra l'altro, la notte scorsa ho dormito pochissio inytanto ti lascio il mio saluto e scusa ,, domani torno: mi sembra un post molto interessante.

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  12. Ciao Rosy che bello passare da te e imparare cose interessanti che sui libri sono tremendamente noiose !!!!Grazie anche per passare sempre e delle tue parole sempre graditissime !Grazie anche a Gaetano !Ora vado a lavorare ,buona giornata !Un abbraccio Sandra

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  13. Grazie Paola, riconosco che i miei post sono assai lunghi, eppure, cerco di restringerli, ma più di questo, non mi è possibile, in fondo non si può parlare della storia in due battute.
    Fai con comodo e quanto vuoi.
    Se ti fa piacere.
    Un caro saluto


    Sandra grazie da parte mia Gaetano credo che lo farà personalmente.
    Buon lavoro A presto.

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  14. Conoscevo già la filastrocca per averla in altri racconti di Gaetano, come pure la tiana dei racconti di zì Maria.

    Non conoscevo però il racconto dedicato a Maria Sofia, ultima regina delle due sicilie.

    E' molto coinvolgente e istruttivo per comprendere alcune cose della vita. Anche a me interessa la storia degli uomini, Rosaria, perché ne facciamo parte tutti, nessuno escluso.

    Allora guardare indietro anche nella storia umana e personale di una regina può essere di insegnamento.

    Bravo, come al solito, Gaetano, e un ringraziamento a te per aver ospitato il suo racconto.

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  15. Cara Annarita, Gaetano è stato bravo, come sempre e devo te se ho conosciuto Gaetano che è anche casertano.

    La storia degli uomini è la catena con la quale il libro della vita si scrive.
    I grandi avvenimenti, sono belli ma tante piccole storie messe insieme
    formano le pagine del libro della vita.

    Grazie Cara Annarita.
    Un caro bacio. Ciao.

    RispondiElimina
  16. @ il monticiano
    @ Gabe
    @ Tomaso
    @ Rosalba
    @ Angelo azzurro
    @ Paola
    @ Sandra
    e...
    @ Annarita
    non senza la sua sorella tanto affezionata, ma chi secondo voi?
    Ma perbacco è Rosy, Rosaria!

    Grazie a tutti voi, questa è un'altra occasione che mi offre il web per sentirmi appagato almeno nello spirito.
    L'anima non tanto perchè segue le sorti delle vicende del corpo dal quale si svincola all'ora fatale.

    Mi sono sentito come quel ragazzo del mio disegno, l'"apprendista" e per un istante ho chiuso gli occhi come lui. Giusto per fissare in me questo momento di gioia interiore.

    Mi sovviene il tempo di quando ero sedicenne e vivevo con la famiglia a Ercole, un paesino alla periferia di Caserta, proprio lì dove ho disegnato il volto del giovanetto assorto. E cosa può sognare un sedicenne? Ad una fanciulla da poter amare e con la quale stare insieme e gioire, proprio come quella in alto che mi ha ispirato la bella principessa Sofia.
    Ma ero anche un sognatore di cose della scienza e a modo mio smanettavo concependo esperimenti anche sballati talvolta.
    Mi comportavo veramente da "apprendista stregone", similmente a quello della ballata del poeta tedesco Wolfgang Goethe e tradotto in sinfonia da Paul Dukas.
    Ero preso da un esperimento di fisica, l'arco voltaico, e per farlo in pratica recuperai due carboncini dalle pile elettriche. Disposi un rudimentale supporto e ve li collocai a debita distanza regolabile, non prima di averle appuntite con la lima ben bene.
    Fatto tutto, diedi corrente e grande fu la mia gioia nell'essere abbagliato da tanta luce sprigionarsi in luogo dell'armamentario che più non si distingueva. Restai così per dei lassi di tempo ma, ad un tratto, fui destato da un puzzo di bruciato che si diffondeva per la stanza. Capii subito che si stavano arrostendo i fili della luce che erano protetti con un primo isolamento di gomma ed un secondo con treccia di cotone. Un istante dopo tutto fu salvo grazie alla valvola di sicurezza generale che saltò. Allora non era come oggi che basta un non nulla per far staccare la corrente elettrica, perchè la legge obbliga questo genere di sicurezza.
    Nel mio caso il sistema era legato a due filamenti che, una volta bruciati si sostituivano ricavandoli dalla treccia del filo elettrico, non volendo provvedere a munirsi di filamenti tarati da comprare in negozio.

    Ecco un'occasione di riflessione ai fatti della vita. Molti di noi, tronfi di una presunta capacità di poter ambire a chissà cosa di grande non ci poniamo limiti, ma non teniamo conto del mezzo di cui disponiamo, ossia il corpo biologico, e tutto ciò che vi sta dietro che poco conosciamo, compreso i cari che ci sono accanto a noi.
    Così presi da vanagloria ci avventuriamo in imprese più grandi di noi e accade che inciampiamo, a volte disastrosamente.
    Il mezzo è paragonabile a quell'impianto elettrico della mia vecchia casa di Ercole, che più di un o due Chilovatt al massimo (non mi ricordo bene) non poteva sopportare, mentre quei due carboncini, di considerevole dimensione, erano in grado di esigere un'energia che quei fili della casa non potevano assolutamente trasmettere.
    Siamo molto spesso "apprendisti stregoni", questa è la verità. Viviamo, purtroppo in un epoca in cui non ci pone limiti. Ma non tutti, menomale!

    Scusate tanto, sono barboso, vero?
    Ma grazie ancora a tutti,

    Gaetano

    RispondiElimina
  17. Caro Gaetano, non sei barboso per chi ama sapere,ma come ti è saltato in mente di dire questo?
    Ogni tua scritto da riflessioni importanti

    Hai detto bene la sorellina di Annarita
    Rosaria è la sorella maggiore.
    Afferro le tue parole a volo e ti dico
    che il virtuale, regala incontri bellissimi.
    Personalmente questo spazio mi ha dato tanto. Se dovessi lasciarlo, mi porterò nel cuore bellissimi ricordi.
    Spero che questo avvenga il più lontano possibile.

    Ti abbraccio
    Grazie ciao.

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  18. Cara Rosy, ho letto, finalmente! e devo dire che è stato un bel leggere: il modo di esporre di Gaetano è piacevole e sembra di vedere le immagini di cui parla. A qualcuno può non interessare la storia umana, come dici tu, ma ti dirò, talvolta è molto istruttiva e fa bene conoscerla. Questa regina, sui generis, un po' come la sorella anche lei del tutto particolare, mi ha fatto piacere conoscerla attraverso questo scritto.
    La filastrocca è molto curiosa... e me ne fa venire in mente un'altra: quando chiedevo alla mia nonna di raccontarmi una novella, lei iniziava così" C'era una volta un uomo, una donna e una fischetta... la vuoi sentire questa?" al che io sempre rispondevo di sì, con entusiasmo e lei ricominciava
    " C'era una volta un uomo, una donna e...." finché io non mi arrabbiavo..a quel punto partiva la novella vera!

    Ciao cara Rosaria, buona serata e buon fine settimana

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